DOCUMENTI

     
          Da un discorso di Adolf Hitler
   
Il terrore è lo strumento politico più efficace. Non me ne lascerò privare soltanto perché una massa di stupidi pretende di esserne offeso. E' mio dovere usare ogni mezzo per addestrare il popolo tedesco alla crudeltà e per prepararlo alla guerra. Una gioventù violentemente attiva, dominatrice, intrepida e brutale, ecco che cosa voglio. Così deve essere la gioventù. Essa deve essere indifferente alla sofferenza.

 


Parole di Hitler alla vigilia dello scoppio 
della seconda guerra mondiale

Il gioco della guerra consiste nella distruzione fisica dell'avversario. Per questo vi ho ordinato di massacrare senza pietà qualsiasi uomo, donna, bambino che non appartenga alla nostra razza. Così soltanto noi potremo ottenere lo spazio vitale che ci abbisogna. Quanto alla propaganda, troverò qualche spiegazione per lo scoppio della guerra. Non importa se veritiera oppure no. Al vincitore non verrà chiesto, poi, se ha detto la verità. Nell'iniziare e nel condurre una guerra non è il diritto che conta, ma il conseguimento della vittoria. Chiudete dunque il cuore alla pietà! Agite brutalmente!




Leggi razziali emanate in Germania
Dal verbale del consiglio dei ministri, 1938

«Mi pare necessario emanare un'ordinanza che faccia divieto agli Ebrei di frequentare teatri, cinematografi e circhi tedeschi. Ritengo che non sia possibile agli ebrei di sedere a fianco dei Tedeschi. È anche indispensabile che essi scompaiano del tutto dalla circolazione sui mezzi pubblici di trasporto.»
«Mi sembra più che logico assegnare loro scompartimenti riservati.»



«Un'altra ordinanza dovrà vietare agli Ebrei di frequentare le stazioni termali, le spiagge tedesche. Poi bisogna impedire che gli Ebrei vadano in giro nei giardini pubblici tedeschi. Mi sembra intollerabile poi che bambini ebrei frequentino scuole tedesche.»
«Per quanto riguarda l'isolamento vorrei fare alcune proposte: bisognerà per esempio, contrassegnare gli ebrei: ognuno di essi dovrà portare un distintivo speciale.»

 





Da "Il diario di Anna Frank"

Lunedì sera, 8 novembre 1943

Cara Kitty,
se tu leggessi tutte le mie lettere una dopo l'altra, certamente ti stupiresti di vederle scritte in stati d'animo tanto differenti. Mi spiace molto di essere così schiava del mio umore, non sono la sola, qui lo sono tutti. Se leggo un libro che mi fa impressione, prima di riprendere il contatto con gli altri debbo riassettarmi mentalmente, se no potrei apparire piuttosto stramba. Attualmente, come avrai notato, sto attraversando un periodo di depressione. Non ti saprei dire il perché, ma credo che quella contro cui continuo a cozzare sia la mia viltà.
Stasera, quando Elly era da noi, udimmo una forte e lunga scampanellata. Immediatamente, dalla paura, impallidii e fui colta dai dolori di ventre e dal batticuore.
La sera a letto mi sembrava di essere sola in carcere, senza padre né madre. A volte vado errando per strada, oppure il nostro ricovero segreto è in fiamme, o vengono di notte per portarci via. Vedo tutte queste cose, come se le vivessi realmente col mio corpo, e ho l'impressione che mi debbano presto accadere.
Miep dice sovente di invidiarci perché qui siamo tranquilli. Sarà verissimo, ma non pensa certamente alla nostra paura. Non so nemmeno immaginare che un giorno il mondo torni normale per noi. Ho un bel parlare del "dopoguerra", ma è come se parlassi di castelli in aria che non diverranno mai realtà. Penso alla nostra casa di prima, alle amiche, alle feste scolastiche, come penserei a cose di cui un altro ha fatto esperienza, non io.
L'alloggio segreto col nostro gruppo di rifugiati mi sembra uno squarcio di cielo azzurro attorniato da nubi nere cariche di pioggia. L'area rotonda e circoscritta su cui stiamo è ancora sicura, ma le nubi si avvicinano sempre di più e sempre più stretto diventa il cerchio che ci separa dal cerchio incombente. Siamo immersi nelle tenebre e nel pericolo e urtiamo gli uni contro gli altri cercando disperatamente una via di salvezza. Guardiamo tutti in basso dove gli uomini combattono, guardiamo in alto dove regnano la quiete e la bellezza e intanto siamo tagliati fuori da quella tetra massa che non ci lascia salire in alto ma sta dinanzi a noi che come un muro impenetrabile, che ci vuol schiacciare ma ancora non può ancora. Non posso far altro che gridare e implorare: «O cerchio, o cerchio, allargati, apriti, lasciaci uscire!»
                                                       La tua Anna



Lunedì, 23 agosto 1943

Cara Kitty,
orario dell'alloggio segreto: otto e mezza del mattino.

Margot e mamma sono nervose: -Sst,... papà, zitto. Otto...sst, Pim! Sono le otto e mezza, vieni via, chiudi l'acqua, cammina piano! 
Così redarguiamo il babbo che si attarda nella camera da bagno, mentre alle otto e mezza bisogna già essere in camera. Nemmeno una goccia d'acqua, non usare il gabinetto, non camminare, tutti zitti. Quando in ufficio non c'è ancora nessuno, nel magazzino si può sentire tutto.
Alle otto e venti sopra aprono la porta e batton tre colpi per terra: la pappa d'avena per Anna. Salgo e porto via la mia ciotola da cagnolino.
Tornata sotto in camera mia, sbrigo presto tutto: mi pettino, nascondo la latta, metto a posto il letto. Zitti, suonano le otto e mezza!Di sopra, la signora si toglie le scarpe e cammina in pantofole per la stanza, come suo marito per non far rumore.
Ora il quadretto familiare è completo. Io voglio leggere o studiare, Margot anche, e così pure papà e mamma. Papà naturalmente con Dickens e il dizionario, siede sulla sponda del suo letto sfondato, che non ha più materassi decenti; adempiono a questo ufficio due capezzali l'uno sopra l'altro. -Se non posso averli, ne faccio senza!





Domenica, 13 febbraio 1944

Cara Kitty,
da sabato c'è molto di cambiato per me. È andata così. Avevo una folla di desideri e li ho ancora -ma in parte, in piccolissima parte, i miei desideri sono soddisfatti.
Stamane mi sono accorta, e con grande gioia, - per essere sincera,- che Peter mi guardava continuamente. In modo del tutto inconsueto, non so come, non so spiegarlo.
Prima avevo pensato che Peter fosse innamorato di Margot, ora ebbi d'un tratto la sensazione che non è così. Per tutto il giorno ho cercato di non guardarlo troppo, perché se lo facevo, anche lui mi guardava - e allora...allora provavo una sensazione gradevole, dentro di me, che non debbo provare troppo spesso.
Ho un grande bisogno di star sola. Papà ha notato che sono diversa dal solito, ma non posso raccontargli tutto. «Lasciatemi in pace, lasciatemi sola!» vorrei gridare. Chi sa che un giorno non resti ancor più sola di quanto desidero!



Da "Se questo è un uomo" di Primo Levi


L'operazione è stata lievemente dolorosa, e straordinariamente rapida: ci hanno messi tutti in fila, e ad uno ad uno, secondo l'ordine alfabetico dei nostri nomi, siamo passati davanti  a un abile funzionario munito di una specie di punteruolo dall'ago cortissimo. Pare che questa sia l'iniziazione vera e propria: solo «mostrando il numero» si riceve il pane e la zuppa. Sono occorsi vari giorni, e non pochi schiaffi e pugni, perché ci abituassimo a mostrare il numero prontamente, in modo da non intralciare le quotidiane operazioni annonarie di distribuzione; ci son voluti settimane e mesi perché ne apprendessimo il suono in lingua tedesca. E per molti giorni, quando l'abitudine dei giorni liberi mi spinge a cercar l'ora sull'orologio a polso, mi appare invece ironicamente il mio nuovo nome, il numero trapunto in segni azzurrognoli sotto l'epidermide.


 

Adesso è il secondo atto. Entrano con violenza quattro con rasoi, pennelli, tosatrici, hanno pantaloni, giacche a righe, un numero cucito sul petto; forse sono delle specie di quegli altri di stasera (stasera o ieri sera?); ma questi sono robusti e floridi. Noi facciamo molte domande, loro invece ci agguantano e in un momento ci troviamo rasi e tosati. Che facce goffe abbiamo senza capelli!


Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: condizione umana più misera non c'è e non può essere pensata. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo rimanga.


La canzone del bambino nel vento (Auschwitz)


Son morto con altri cento
son morto ch'ero bambino
passato per il camino
e adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz c'era la neve
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d'inverno
e adesso sono nel vento:

Ad Auschwitz tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano non riesco ancora
a sorridere qui nel vento.

Io chiedo come può un uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.

Ma ancora tuona il cannone
ancora non è contento
di sangue la belva umana
e ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà
che l'uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà.


E
venu shalom

Evenu shalom alejem
evenu shalom alejem
evenu shalom alejem
evenu shalom shalom shalom alejem

E sia pace con voi (3)
  evenu shalom shalom shalom alejem

Et la paix soit avec nous (3)
  evenu shalom shalom shalom alejem

Und sei der frieden mit uns (3)
  evenu shalom shalom shalom alejem

Y sea la paz con nos otros (3)
  evenu shalom shalom shalom alejem

And the peace be with us (3)
  evenu shalom shalom shalom alejem

Diciamo pace al mondo
cantiamo pace al mondo
la nostra vita sia gioiosa
e il mio saluto pace
giunga fino a voi!!!

Evenu shalom alejem
evenu shalom alejem
evenu shalom alejem
evenu shalom shalom shalom alejem

 

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