Da "Il diario di Anna Frank"
Lunedì sera, 8 novembre 1943
Cara Kitty, se tu leggessi tutte le mie lettere
una dopo l'altra, certamente ti stupiresti di vederle scritte in stati
d'animo tanto differenti. Mi spiace molto di essere così schiava del mio
umore, non sono la sola, qui lo sono tutti. Se leggo un libro che mi fa
impressione, prima di riprendere il contatto con gli altri debbo
riassettarmi mentalmente, se no potrei apparire piuttosto stramba.
Attualmente, come avrai notato, sto attraversando un periodo di
depressione. Non ti saprei dire il perché, ma credo che quella contro cui
continuo a cozzare sia la mia viltà. Stasera, quando Elly era da noi,
udimmo una forte e lunga scampanellata. Immediatamente, dalla paura,
impallidii e fui colta dai dolori di ventre e dal batticuore. La sera
a letto mi sembrava di essere sola in carcere, senza padre né madre. A volte vado errando per strada, oppure il
nostro ricovero segreto
è in fiamme, o vengono di notte per portarci via. Vedo tutte queste cose,
come se le vivessi realmente col mio corpo, e ho l'impressione che mi
debbano presto accadere. Miep dice sovente di invidiarci perché qui
siamo tranquilli. Sarà verissimo, ma non pensa certamente alla nostra
paura. Non so nemmeno immaginare che un giorno il mondo torni normale per
noi. Ho un bel parlare del "dopoguerra", ma è come se parlassi di castelli
in aria che non diverranno mai realtà. Penso alla nostra casa di prima,
alle amiche, alle feste scolastiche, come penserei a cose di cui un altro
ha fatto esperienza, non io. L'alloggio segreto col nostro gruppo di
rifugiati mi sembra uno squarcio di cielo azzurro attorniato da nubi nere
cariche di pioggia. L'area rotonda e circoscritta su cui stiamo è ancora
sicura, ma le nubi si avvicinano sempre di più e sempre più stretto
diventa il cerchio che ci separa dal cerchio incombente. Siamo immersi
nelle tenebre e nel pericolo e urtiamo gli uni contro gli altri cercando
disperatamente una via di salvezza. Guardiamo tutti in basso dove gli
uomini combattono, guardiamo in alto dove regnano la quiete e la bellezza
e intanto siamo tagliati fuori da quella tetra massa che non ci lascia
salire in alto ma sta dinanzi a noi che come un muro impenetrabile, che ci
vuol schiacciare ma ancora non può ancora. Non posso far altro che gridare
e implorare: «O cerchio, o cerchio, allargati, apriti, lasciaci
uscire!»
La tua Anna
|
Lunedì, 23 agosto 1943
Cara Kitty, orario dell'alloggio segreto: otto e mezza
del mattino.
Margot e mamma sono nervose: -Sst,... papà, zitto. Otto...sst,
Pim! Sono le otto e mezza, vieni via, chiudi l'acqua, cammina piano!
Così
redarguiamo il babbo che si attarda nella camera da bagno, mentre alle
otto e mezza bisogna già essere in camera. Nemmeno una goccia d'acqua, non
usare il gabinetto, non camminare, tutti zitti. Quando in ufficio non c'è
ancora nessuno, nel magazzino si può sentire tutto. Alle otto e venti
sopra aprono la porta e batton tre colpi per terra: la pappa d'avena per
Anna. Salgo e porto via la mia ciotola da cagnolino. Tornata sotto in
camera mia, sbrigo presto tutto: mi pettino, nascondo la latta, metto a
posto il letto. Zitti, suonano le otto e mezza!Di sopra, la signora si
toglie le scarpe e cammina in pantofole per la stanza, come suo marito per
non far rumore. Ora il quadretto familiare è completo. Io voglio
leggere o studiare, Margot anche, e così pure papà e mamma. Papà
naturalmente con Dickens e il dizionario, siede sulla sponda del suo letto
sfondato, che non ha più materassi decenti; adempiono a questo ufficio due
capezzali l'uno sopra l'altro. -Se non posso averli, ne faccio
senza!
Domenica, 13 febbraio 1944
Cara Kitty, da sabato c'è molto di cambiato per me. È andata così. Avevo una folla di desideri e li ho ancora -ma in parte, in
piccolissima parte, i miei desideri sono soddisfatti. Stamane mi sono
accorta, e con grande gioia, - per essere sincera,- che Peter mi guardava
continuamente. In modo del tutto inconsueto, non so come, non so
spiegarlo. Prima avevo pensato che Peter fosse innamorato di Margot,
ora ebbi d'un tratto la sensazione che non è così. Per tutto il giorno ho
cercato di non guardarlo troppo, perché se lo facevo, anche lui mi
guardava - e allora...allora provavo una sensazione gradevole, dentro di
me, che non debbo provare troppo spesso. Ho un grande bisogno di star
sola. Papà ha notato che sono diversa dal solito, ma non posso
raccontargli tutto. «Lasciatemi in pace, lasciatemi sola!» vorrei gridare.
Chi sa che un giorno non resti ancor più sola di quanto
desidero!
|
Da "Se questo è un uomo" di Primo Levi
L'operazione è stata lievemente dolorosa, e
straordinariamente rapida: ci hanno messi tutti in fila, e ad uno ad uno,
secondo l'ordine alfabetico dei nostri nomi, siamo passati davanti a
un abile funzionario munito di una specie di punteruolo dall'ago
cortissimo. Pare che questa sia l'iniziazione vera e propria: solo
«mostrando il numero» si riceve il pane e la zuppa. Sono occorsi vari
giorni, e non pochi schiaffi e pugni, perché ci abituassimo a mostrare il
numero prontamente, in modo da non intralciare le quotidiane operazioni
annonarie di distribuzione; ci son voluti settimane e mesi perché ne
apprendessimo il suono in lingua tedesca. E per molti giorni, quando
l'abitudine dei giorni liberi mi spinge a cercar l'ora sull'orologio a
polso, mi appare invece ironicamente il mio nuovo nome, il numero trapunto
in segni azzurrognoli sotto l'epidermide.
|
Adesso è il secondo atto. Entrano con violenza quattro con
rasoi, pennelli, tosatrici, hanno pantaloni, giacche a righe, un numero
cucito sul petto; forse sono delle specie di quegli altri di stasera
(stasera o ieri sera?); ma questi sono robusti e floridi. Noi facciamo
molte domande, loro invece ci agguantano e in un momento ci troviamo rasi
e tosati. Che facce goffe abbiamo senza capelli!
Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra
lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di
un uomo. In un attimo con intuizione quasi profetica, la realtà ci si
è rivelata: condizione umana più misera non c'è e non può essere pensata.
Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli;
se parleremo non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero non ci capirebbero.
Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in
noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di
noi, di noi quali eravamo rimanga.
|
La canzone del bambino nel vento
(Auschwitz)
Son morto con altri cento
son morto ch'ero
bambino passato per il camino e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve il fumo saliva lento nel
freddo giorno d'inverno e adesso sono nel vento:
Ad Auschwitz tante persone ma un solo grande
silenzio che strano non riesco ancora a sorridere qui nel
vento.
Io chiedo come può un uomo uccidere un suo
fratello eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento.
Ma ancora tuona il cannone ancora non è contento di
sangue la belva umana e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà che l'uomo potrà imparare a
vivere senza ammazzare e il vento si poserà.
|
Evenu shalom
Evenu shalom alejem evenu shalom alejem evenu shalom
alejem evenu shalom shalom shalom alejem
E sia pace con voi (3) evenu shalom shalom shalom
alejem
Et la paix soit avec nous (3) evenu shalom shalom
shalom alejem
Und sei der frieden mit uns (3) evenu shalom
shalom shalom alejem
Y sea la paz con nos otros (3) evenu shalom shalom
shalom alejem
And the peace be with us (3) evenu shalom shalom
shalom alejem
Diciamo pace al mondo cantiamo pace al mondo la nostra
vita sia gioiosa e il mio saluto pace giunga fino a voi!!!
Evenu shalom alejem evenu shalom alejem evenu shalom
alejem evenu shalom shalom shalom alejem
|