Benedetti siano i nonni
Che negli anni, mesi e giorni
Accompagnano i bambini
Nella vita ed ai giardini.
Con la mano nella mano
Anche se camminano piano
Ci fan crescere felici
Ci regalano la bici.
Ci misurano la febbre
Con le labbra sulla fronte
E anche quando ci vorrebbe
Una sgridata da bisonte
Ecco che con un abbraccio
Già ci tolgono l’impaccio.
Benedetta F. - cl. III A - scuola
elementare Pertini
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I nonni non possono mancare
Nonni siete un tesoro
un tesoro che non si può
contare!
Siete una cassaforte sempre aperta
piena di ricordi
e di preziose esperienze.
Senza di voi non
c’è passato, presente e futuro.
Il passato come memoria
il presente come racconto vivente
il futuro come eredità di valori.
Melania S. - Scuola G. B. Niccolini
- Classe V C
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I nonni teniamoli stretti
perché sono sapere
i nonni sono importanti
purtroppo hanno le malattie
e sono ripetitivi.
Hanno sempre però quel cuore caldo
che pensa a te,
quelle abitudini di epoche ormai lontane,
perciò viva i nonni.
Andrea D. N. - Classe V A – Scuola
Elementare Eduardo de Filippo
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La mi’ nonna Ida: anno di
nascita 1910 e… la “Battitura”.
Io ho una nonna speciale: si chiama Ida e ha 96 anni, vive con
me e la mia famiglia ed è ancora molto attiva. Le piace leggere,
fare le faccende e parlare con me e mia sorella: peccato che è
un po’ sorda, ma se le parlo a voce alta, non ci sono problemi…
Ieri pomeriggio l’ho fatta sedere in poltrona e le ho chiesto di
raccontarmi di una tradizione popolare o di una festa dei suoi
tempi, di quando era giovane. E così ha iniziato...
“Un giorno importante, per la famiglia contadina da cui
provengo, era quello della “Battitura”. Da giovane vivevo nella
campagna di Scandicci, in un casale circondato da campi
coltivati a grano, viti e ortaggi. Di solito, alla fine di
Giugno, dopo aver lavorato a lungo nei campi con la falce a
segare il grano, c’era ancora tanto da fare, prima che il grano
finisse al sicuro nei granai!
Nei campi, con il grano tagliato, avevamo formato i covoni, poi
le bighe, cioè dei mucchi di covoni abbarcati, in modo che,
anche se pioveva, si bagnava solo la parte esterna. Poi i covoni
venivano portati nell’aia e riuniti, in attesa della
trebbiatrice (le macchine erano poche e dovevamo aspettare che
ce ne fosse una libera). Arrivava così il giorno della festa,
della battitura, a cui partecipavano amici, contadini vicini e
ognuno aveva un compito: i bambini portavano da bere, le donne
cucinavano, gli anziani tiravano su il pagliaio. Gli uomini
portavano via le balle di grano e riunivano le presse ! In
questa giornata, venivano a mendicare persone povere: davamo
loro pugnelli di grano e prodotti della nostra terra.
Noi ragazzi costruivamo sull’aia un fantoccio che, alla sera,
veniva lanciato dal fienile e, secondo come cadeva, “leggevamo”
auspici per l’agricoltura.
Alla sera, una bella e lauta cena metteva tutti seduti attorno
ad un’enorme tavolone. Finita la cena, gli anziani recitavano
poesie e stornelli in rima e, sull’aia illuminata dal fuoco
appiccato ad una catasta di legna, si ballava.
Tutto intorno la campagna riposava, avvolta ormai
dall’oscurità...
Il racconto della nonna è finito, lei, seduta sulla sua
poltrona, è lontana con il pensiero. Mi avvicino e scopro che i
suoi occhi, sempre vivi e allegri, adesso sono lucidi, ma hanno
anche una luce meravigliosa: la luce del ricordo di bei tempi
trascorsi.
Valentina M. - 1 F
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La nonna racconta…
Mia nonna ricorda, con il sorriso sulle labbra,di quando era
bambina ed insieme alle sue amiche cuciva i vestiti alle
bambole, giocava ad acchiappino, a palla e a nascondino, ma lei
era anche un po’ maschiaccio: smontava le gomme della bicicletta
e si divertiva a far rotolare i cerchioni con un bastone lungo
la strada, però, il gioco più divertente era “Dreo”: infatti nel
suo quartiere S.Frediano c’erano le stalle e il deposito delle
carrozze.
Quando una carrozza passava, lei, con altri amici, si attaccava
dietro al volo, mentre i rimanenti bambini li seguivano correndo
e gridando in vernacolo fiorentino “ dreo, dreo, dreo”
(che significava dietro).
Allora il fiaccheraio, arrabbiato, faceva schioccare la frusta
verso di loro, sperando che si impaurissero e si staccassero
dalla carrozza.
A proposito delle abitudini che aveva mia nonna, me ne è rimasta
impressa una, visto che noi ragazzi abbiamo di tutto e di più.
Lei, durante il dopo-guerra, aspettava con ansia la domenica
perché, nonostante fossero molto poveri, sua mamma le dava un
“decino” (dieci centesimi).
Allora, lei, con suo fratello, andava in centro in un
laboratorio di pasticceria e comprava un sacchettino di
“bruscolini”, cioè ritagli e briciole di torta e paste dolci:
per loro era una festa.
Matteo P. - Classe V A - Scuola
Niccolini
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“Ona, ona,
ona,
Oh che bella Rificolona!
La mia l’è co’ fiocchi
E la tua l’è co’ pidocchi.
E l’è più bella la mia
Di quella della tu’ zia”.
Quante volte da bambina ho sentito questa canzoncina intorno al
7 Settembre per le strade della mia città. Sembra ieri, eppure è
passato qualche anno da quando io, insieme ai miei genitori e ai
miei nonni, passeggiavo con quella strana lanterna luminosa
detta “Rificolona” per le strade del mio rione insieme anche a
tanti bimbi della mia età. Chi aveva la lanterna più bella
(magari costruita artigianalmente), poteva ricevere un premio
dal Circolo del Boschetto. Attenti però a non farsela
distruggere dalle cerbottane d’alcuni gruppi di ragazzini, il
cui scopo è di colpirne a più non posso. Spesso mi chiedevo cosa
ci fosse di tanto speciale da festeggiare e il perché
dell’usanza di portare quelle lanterne di carta colorata, che
alla fine della festa venivano bruciate. Dopo ripetute richieste
d’informazioni, mio nonno trovò un attimo di tempo per
raccontare. Quando era piccolo, ogni 7 Settembre i contadini
scendevano dalle campagne intorno alla nostra città e si
ritrovavano tutti in Piazza SS Annunziata per rendere omaggio
alla Madonna. In tale occasione organizzavano pure un mercatino
con i prodotti del loro lavoro. Se giunta la sera non erano
ancora arrivati in città, i fiorentini, per accogliere questa
gente, accendevano delle lanterne chiamate “Rificolone” sorrette
da bastoni. Anche per i giovani ragazzoni, l’arrivo di questi
rozzi pellegrini, costituiva una forma di divertimento. Infatti,
appena li vedevano arrivare, si univano a loro e li
importunavano con le cerbottane, cercando anche di colpire i
lampioncini. Con il passare degli anni, questa tradizione non ha
subito molti cambiamenti. Ogni anno, passeggiano per le strade
dei quartieri fiorentini cortei di famiglie con bambini che
portano in mano le Rificolone dalle mille forme e dai tanti
colori. Vi sono inoltre gruppi di ragazzini muniti di stucco e
cerbottane che cercano di colpire le Rificolone, indifferenti al
dolore che provocano ai più piccoli. Ora sono cresciuta, mio
nonno non c’è più e anche la Festa della Rificolona per me è
cambiata: è uno dei tanti modi per ritrovarmi con gli amici, per
passare una serata diversa. Nella mia città vengono organizzate
altre feste come: lo scoppio del carro, il calcio in costume e
la festa del grillo. Le tradizioni popolari che ogni città ha
sono, secondo me, da conservare. Speriamo che questo mondo così
frenetico e moderno non ce le porti via.
Federica - 3F
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