CONCORSO "CHI SCRIVE, CHI LEGGE" 2006 - lavori premiati

Benedetti siano i nonni
Che negli anni, mesi e giorni
Accompagnano i bambini
Nella vita ed ai giardini.
Con la mano nella mano
Anche se camminano piano
Ci fan crescere felici
Ci regalano la bici.
Ci misurano la febbre
Con le labbra sulla fronte
E anche quando ci vorrebbe
Una sgridata da bisonte
Ecco che con un abbraccio
Già ci tolgono l’impaccio.
Benedetta F. - cl. III A - scuola elementare Pertini
 
I nonni non possono mancare
Nonni siete un tesoro
un tesoro che non si può
contare!
Siete una cassaforte sempre aperta
piena di ricordi
e di preziose esperienze.
Senza di voi non
c’è passato, presente e futuro.
Il passato come memoria
il presente come racconto vivente
il futuro come eredità di valori.

Melania S. - Scuola G. B. Niccolini - Classe V C
 
I nonni teniamoli stretti
perché sono sapere
i nonni sono importanti
purtroppo hanno le malattie
e sono ripetitivi.
Hanno sempre però quel cuore caldo
che pensa a te,
quelle abitudini di epoche ormai lontane,
perciò viva i nonni.


Andrea D. N. - Classe V A – Scuola Elementare Eduardo de Filippo
 

La mi’ nonna Ida: anno di nascita 1910 e… la “Battitura”.

Io ho una nonna speciale: si chiama Ida e ha 96 anni, vive con me e la mia famiglia ed è ancora molto attiva. Le piace leggere, fare le faccende e parlare con me e mia sorella: peccato che è un po’ sorda, ma se le parlo a voce alta, non ci sono problemi…
Ieri pomeriggio l’ho fatta sedere in poltrona e le ho chiesto di raccontarmi di una tradizione popolare o di una festa dei suoi tempi, di quando era giovane. E così ha iniziato...
“Un giorno importante, per la famiglia contadina da cui provengo, era quello della “Battitura”. Da giovane vivevo nella campagna di Scandicci, in un casale circondato da campi coltivati a grano, viti e ortaggi. Di solito, alla fine di Giugno, dopo aver lavorato a lungo nei campi con la falce a segare il grano, c’era ancora tanto da fare, prima che il grano finisse al sicuro nei granai!
Nei campi, con il grano tagliato, avevamo formato i covoni, poi le bighe, cioè dei mucchi di covoni abbarcati, in modo che, anche se pioveva, si bagnava solo la parte esterna. Poi i covoni venivano portati nell’aia e riuniti, in attesa della trebbiatrice (le macchine erano poche e dovevamo aspettare che ce ne fosse una libera). Arrivava così il giorno della festa, della battitura, a cui partecipavano amici, contadini vicini e ognuno aveva un compito: i bambini portavano da bere, le donne cucinavano, gli anziani tiravano su il pagliaio. Gli uomini portavano via le balle di grano e riunivano le presse ! In questa giornata, venivano a mendicare persone povere: davamo loro pugnelli di grano e prodotti della nostra terra.
Noi ragazzi costruivamo sull’aia un fantoccio che, alla sera, veniva lanciato dal fienile e, secondo come cadeva, “leggevamo” auspici per l’agricoltura.
Alla sera, una bella e lauta cena metteva tutti seduti attorno ad un’enorme tavolone. Finita la cena, gli anziani recitavano poesie e stornelli in rima e, sull’aia illuminata dal fuoco appiccato ad una catasta di legna, si ballava.
Tutto intorno la campagna riposava, avvolta ormai dall’oscurità...
Il racconto della nonna è finito, lei, seduta sulla sua poltrona, è lontana con il pensiero. Mi avvicino e scopro che i suoi occhi, sempre vivi e allegri, adesso sono lucidi, ma hanno anche una luce meravigliosa: la luce del ricordo di bei tempi trascorsi.
Valentina M. - 1 F
 

La nonna racconta…
Mia nonna ricorda, con il sorriso sulle labbra,di quando era bambina ed insieme alle sue amiche cuciva i vestiti alle bambole, giocava ad acchiappino, a palla e a nascondino, ma lei era anche un po’ maschiaccio: smontava le gomme della bicicletta e si divertiva a far rotolare i cerchioni con un bastone lungo la strada, però, il gioco più divertente era “Dreo”: infatti nel suo quartiere S.Frediano c’erano le stalle e il deposito delle carrozze.
Quando una carrozza passava, lei, con altri amici, si attaccava dietro al volo, mentre i rimanenti bambini li seguivano correndo e gridando in vernacolo fiorentino “ dreo, dreo, dreo”
(che significava dietro).
Allora il fiaccheraio, arrabbiato, faceva schioccare la frusta verso di loro, sperando che si impaurissero e si staccassero dalla carrozza.
A proposito delle abitudini che aveva mia nonna, me ne è rimasta impressa una, visto che noi ragazzi abbiamo di tutto e di più.
Lei, durante il dopo-guerra, aspettava con ansia la domenica perché, nonostante fossero molto poveri, sua mamma le dava un “decino” (dieci centesimi).
Allora, lei, con suo fratello, andava in centro in un laboratorio di pasticceria e comprava un sacchettino di “bruscolini”, cioè ritagli e briciole di torta e paste dolci: per loro era una festa.
Matteo P. - Classe V A - Scuola Niccolini
 

 “Ona, ona, ona,
Oh che bella Rificolona!
La mia l’è co’ fiocchi
E la tua l’è co’ pidocchi.
E l’è più bella la mia
Di quella della tu’ zia”.
Quante volte da bambina ho sentito questa canzoncina intorno al 7 Settembre per le strade della mia città. Sembra ieri, eppure è passato qualche anno da quando io, insieme ai miei genitori e ai miei nonni, passeggiavo con quella strana lanterna luminosa detta “Rificolona” per le strade del mio rione insieme anche a tanti bimbi della mia età. Chi aveva la lanterna più bella (magari costruita artigianalmente), poteva ricevere un premio dal Circolo del Boschetto. Attenti però a non farsela distruggere dalle cerbottane d’alcuni gruppi di ragazzini, il cui scopo è di colpirne a più non posso. Spesso mi chiedevo cosa ci fosse di tanto speciale da festeggiare e il perché dell’usanza di portare quelle lanterne di carta colorata, che alla fine della festa venivano bruciate. Dopo ripetute richieste d’informazioni, mio nonno trovò un attimo di tempo per raccontare. Quando era piccolo, ogni 7 Settembre i contadini scendevano dalle campagne intorno alla nostra città e si ritrovavano tutti in Piazza SS Annunziata per rendere omaggio alla Madonna. In tale occasione organizzavano pure un mercatino con i prodotti del loro lavoro. Se giunta la sera non erano ancora arrivati in città, i fiorentini, per accogliere questa gente, accendevano delle lanterne chiamate “Rificolone” sorrette da bastoni. Anche per i giovani ragazzoni, l’arrivo di questi rozzi pellegrini, costituiva una forma di divertimento. Infatti, appena li vedevano arrivare, si univano a loro e li importunavano con le cerbottane, cercando anche di colpire i lampioncini. Con il passare degli anni, questa tradizione non ha subito molti cambiamenti. Ogni anno, passeggiano per le strade dei quartieri fiorentini cortei di famiglie con bambini che portano in mano le Rificolone dalle mille forme e dai tanti colori. Vi sono inoltre gruppi di ragazzini muniti di stucco e cerbottane che cercano di colpire le Rificolone, indifferenti al dolore che provocano ai più piccoli. Ora sono cresciuta, mio nonno non c’è più e anche la Festa della Rificolona per me è cambiata: è uno dei tanti modi per ritrovarmi con gli amici, per passare una serata diversa. Nella mia città vengono organizzate altre feste come: lo scoppio del carro, il calcio in costume e la festa del grillo. Le tradizioni popolari che ogni città ha sono, secondo me, da conservare. Speriamo che questo mondo così frenetico e moderno non ce le porti via.

Federica - 3F
 

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